Si sa e se ne parla sempre di più: la tutela dei minori nel mondo dei social network deve essere rafforzata.
I social sono uno strumento potentissimo e, se usati in modo scorretto o superficiale, possono avere conseguenze spiacevoli per usare un eufemismo.
I problemi principali sono due:
- i minori possono creare account senza la supervisione o il permesso dei genitori, correndo il rischio di imbattersi in situazioni che non sono in grado di gestire o capire totalmente;
- i genitori pubblicando fin da piccoli foto, video e aggiornamenti, non tutelano la privacy dei minori. Questo fenomeno prende il nome di “Sharenting”, ovvero sharing (condivisione) e parenting (genitorialità).
Le normative e le leggi di riferimento sono praticamente inesistenti o insufficienti a tutelare il minore. In Italia il divieto di iscriversi su Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat e Whatsapp sussiste fino ai 13 anni, mentre tra i 13 e 14 anni serve la supervisione di genitori, in ottemperanza del General Data Protection Regulation (Gdpr), entrato in vigore nel 2018, che regolamenta il trattamento dei dati e il diritto alla privacy.
Ma viene rispettato nella realtà? Purtroppo no, la maggior parte delle iscrizioni vengono fatte senza dichiarare l’età reale e non vengono richiesti accertamenti sufficienti a “scoprire” la veridicità delle informazioni; in molti casi, addirittura, viene dichiarata un’età falsa con la presenza dei genitori.
È vero che ormai, fin da piccoli, i bambini acquisiscono le abilità necessarie per l’utilizzo di smartphone e tablet, ma non conoscono realmente le potenzialità di questi strumenti e gli eventuali rischi. C’è da aggiungere che sulla stessa linea troviamo gli stessi genitori, i quali, vivendo online una vita simile a quella dei figli, sono inconsapevoli delle conseguenze delle loro azioni e incapaci di presentarsi come una guida.
Ma quali sono questi rischi?
Si può parlare di rischi di contenuto, come l’esposizione a materiale razzista o che promuove disturbi alimentari o comportamenti autolesionisti. Ci sono i rischi di contatto, come l’addescamento online, la pedofilia virtuale e la pedopornografia. E, inoltre, sono possibili anche i rischi di comportamento, come il cyberbullismo o il sexting, che possono avere gravi conseguenze per la salute mentale e l’incolumità dei giovani.
Anche per lo “sharenting” non è prevista una legge specifica che regolamenti la condivisione delle fotografie dei figli, ma si fa riferimento alle regole generali sul diritto alla vita privata, alla tutela della propria immagine, ai doveri di protezione ed educazione che incombono sui genitori. Vista la mancanza di leggi chiave, la prima cosa da fare è educare digitalmente la generazione adulta.
Cosa si potrebbe ottenere?
- maggiore consapevolezza con conseguente diminuzione di foto condivise di minori sul web;
- comprensione da parte dei minori dei rischi dei social e della navigazione in rete.
Come si può fare?
- dialogando attivamente e costantemente, informandosi consapevolmente sulle competenze mediali: conoscere il mondo digitale e valutare in modo attivo e critico gli eventuali pericoli a cui si può incorrere;
- partecipando a confronti e a momenti informativi con persone esperte e preparate e/o con altri genitori.
L’obiettivo è diventare, per i ragazzi, un punto di riferimento a cui possono rivolgersi ogni qualvolta abbiano un problema legato al mondo digitale.
“Quando metti la tua vita online non c'è più via d'uscita.” - The Circle (Film 2017).