“Se vuoi che venga detto qualcosa, chiedi ad un uomo. Se vuoi che venga fatto qualcosa, chiedi ad una donna” Margaret Thatcher
8 Marzo 2023, ItaliaLa Festa della Donna. Vari giorni prima, i fiorai non smettono di creare meravigliose composizioni di mimose e gli uomini accorrono numerosi per celebrare la propria amata, mamma, collega, sorella, amica, figlia ecc. In ricorrenze come questa, è facile cadere in certe banalità e il web pullula di content creator (specialmente donne) che si sfregano le mani per poter parlare di argomenti come pari diritti, uguaglianza, femminismo, women empowerment ecc. È un argomento tanto delicato quanto complesso e noi di Makia cercheremo di trattarlo nel modo più oggettivo e peculiare possibile, analizzando aspetti poco convenzionali e ancora sconosciuti.
Le origini della Festa della Donna - quelle vere
Se pensiamo alla nascita della Festa della Donna, ci vengono in mente le operaie newyorkesi che, nel 1908, morirono in un incendio, scoppiato nella fabbrica di camicie dove lavoravano.
Sfatiamo (anche) questo mito.
La festa della donna nasce in Russia l’8 marzo 1917, quando le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per rivendicare la fine della guerra. Successivamente, le delegate della Seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste di Mosca scelsero l’8 marzo per festeggiare tale ricorrenza, data ufficializzata nel 1977 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ogni Paese (Europeo e non) ha i propri costumi e le proprie usanze per festeggiare questo giorno. Negli Stati Uniti, l’intero mese di marzo è denominato “Women’s History Month” e vengono organizzati una serie di eventi e comizi, a sostegno dell’ “empowerment” femminile; in Cina, le ragazze lasciano un bigliettino affisso alle bacheche delle università, sperando che un ragazzo lo legga ed esaudisca il loro desiderio. In Russia, e nei Paesi dell’Est Europa in generale, la festa della donna è fortemente sentita: le donne delegano tutti i lavori domestici a figli e mariti, godendosi il meritato riposo e la cura alla propria bellezza. In Italia, si regala la mimosa, una pianta fragile, che però riesce a crescere anche nei terreni più ostici, simbolo della lotta per l’emancipazione femminile.
Ma perché nasce l’esigenza di festeggiare la Donna? E perché non si festeggia anche la Festa dell’Uomo? Forse la storia e il marketing possono darci una risposta.
Le donne sono il target preferito del marketing: sono disposte a spendere di più, per prodotti di miglior qualità, sono maggiormente attente ai colori, alle sensazioni, preferiscono un packaging piuttosto che un altro e amano sperimentare i prodotti di diversi brand.
Post Seconda Guerra Mondiale, le piccole botteghe cominciarono, piano piano, a trasformarsi in grandi supermercati e le donne che, in passato, avevano sofferto fame e miseria, improvvisamente si ritrovarono a poter scegliere una vasta quantità di prodotti, non solo da mangiare, ma anche per la cura della casa e della persona. Scoppia il boom economico e il consumismo comincia a prender forma, trasformando radicalmente i bisogni delle persone. Si cominciano a dover rispettare certi canoni di bellezza e quindi diventa doveroso correre in profumeria per acquistare l’ultima fragranza, andare dalla parrucchiera per il taglio più alla moda, comprare la lavatrice di ultima generazione ecc. Tutta questa rincorsa ad apparire sempre più femminili è costata alle donne la cosiddetta pink tax. Non esiste giuridicamente, ma basta andare in un qualunque supermercato per vederla applicata: il classico esempio è quello del rasoio. Il rasoio, blu, da uomo, costa in media €2 in meno rispetto al rasoio, rosa, per donne. Così come lo shampoo, il bagnoschiuma, i profumi, i giocattoli per bambine, le biciclette, tagliarsi i capelli, le scarpe, i vestiti ecc. Sembra quasi che le donne debbano acquistare prodotti maschili per spendere meno.
Dietro ai comportamenti di una società, c’è sempre il passato che bussa alla porta: si passa da una situazione di totale disgrazia, come la Seconda Guerra Mondiale, ad uno stato di benessere come quello degli anni ‘50. Le donne potevano avere il rossetto più rosso, le gote più rosee, il vestito svolazzante alla Marylin, potevano fumare, frequentare club, diventare attrici, ballerine, cantanti e modelle. Finalmente, potevano dimostrare di essere e di valere qualcosa.
Tornando ai giorni nostri, possiamo notare che qualcosa nelle donne si è risvegliato, soprattutto tra le Millennial e le Genz: dall’America al Medio Oriente, sono nati veri e propri movimenti femministi, che non si limitano a fare qualche manifestazione locale, ma promuovono un certo tipo di comunicazione, usando soprattutto i social media e riportando a galla temi inghiottiti da chissà quale rivista glitterata.
Così, non solo ci si accorge della presenza di una malvoluta pink tax, non solo i prodotti per le donne costano in media il 7% in più rispetto a quelli per gli uomini: la cosa più disarmante è che il loro salario è nettamente inferiore rispetto a quello di un uomo.
E da qui un neologismo inglese che fa breccia nelle menti delle giovani donne: il gender pay gap, drasticamente peggiorato in Italia durante gli anni della pandemia.
Nonostante ancora la strada da percorrere sia molto lunga e per alcune donne, in certi Paesi, è una strada incredibilmente ripida e tortuosa, è bene voltarsi indietro e prendere esempio dai grandi personaggi della Storia (donne, ma anche uomini) che hanno provato a porre le basi di una società più equilibrata.
Quali sono dunque le donne (e perché no, anche gli uomini) che dobbiamo ringraziare per i traguardi raggiunti?
La prima fra tutte è Abigail Adams, First Lady del Presidente statunitense John Adams, la quale scriveva spesso lettere al marito, con varie richieste a favore di diritti più equi per le donne.
A seguito, le Suffragette, Bertha Von Suttner (la prima donna a ricevere il Premio Nobel per la Pace), e la famosissima Margaret Thatcher (che nel 1979 divenne Primo Ministro del Regno Unito e fù anche la prima donna a ricoprire il ruolo di Presidente in Europa).
In Italia, nel passato, abbiamo avuto anche uomini coraggiosi che, mettendo da parte pregiudizi e vessazioni, cercarono di apportare un cambiamento più equo in una società prettamente patriarcale. Un esempio tra questi è Salvatore Morelli (1824-1880), deputato dell’area riformista italiana, che presentò progetti di legge per estendere il voto alle donne, per il diritto al divorzio, per la parità dei sessi e per il bicognome tra coniugi e figli. Altri nomi che possono stare accanto a quello del Sig. Morelli sono Luigi Majno, Renzo Sacchetti, Roberto Mirabelli, Ettore Socci, Amedeo Sandrini, Ettore Sacchi e altri ancora.
Di certo è che nel nostro Paese abbiamo raggiunto diversi traguardi solo in epoca "moderna". Nel 1950 viene emanata la Legge n.860 a tutela fisica ed economica della lavoratrici che diventavano madri. La legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia) abrogò la norma contenuta nell'art. 144 del Codice civile, che prevedeva il ruolo di capofamiglia e lo attribuiva al marito. La qualifica rimase ai soli fini anagrafici, ma è stata soppressa anche in quest'ambito dal nuovo regolamento anagrafico approvato con D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, i cui articoli 6 e 21 prevedono la figura del responsabile delle dichiarazioni anagrafiche e dell'intestatario della scheda di famiglia. A partire dal 2000, le donne possono finalmente arruolarsi nel servizio militare femminile. Nel 2014, Fabiola Giannotti diventa direttrice generale del CERN e sempre nello stesso anno nasce “HeForShe”, una campagna di solidarietà a favore dell’eguaglianza istituita da UN Women. Nel mondo dell’imprenditoria, ad oggi, le imprese al femminile sono 1 milione e 342 mila (22%), cresciute più velocemente rispetto alle imprese al maschile, particolarmente nel quinquennio 2014-2019, con un 63% al Centro-Nord e un 37% al Sud.
Qual’è la differenza tra uguaglianza ed equità?
C’è un famoso esempio che calza a pennello per spiegare bene il concetto: immaginate tre persone, di diversa statura, che guardano al di là di una recinzione e tutte e tre possiedono un supporto dove poter salire per vedere meglio. A tutti e tre è stato dato lo stesso tipo di supporto e la persona più bassa continua a vedere con difficoltà, mentre la persona più alta vede tutto, anche meglio di prima. Questa è l’uguaglianza che, a prescindere da ciò che il singolo necessita, concede a tutti lo stesso tipo di trattamento, in ugual misura.
Immaginate ora le stesse tre persone e, ad ognuna di loro, viene dato il tipo di supporto di cui hanno bisogno. La persona più alta non ne ha bisogno dato che vede perfettamente cosa c’è al di là della recinzione; la persona di media statura avrà un solo supporto e la persona più bassa verrà dotata di due supporti per avere una visuale congrua. Questa è l’equità, ovvero riconoscere e accettare che esistono delle differenze e che dobbiamo apportare modifiche agli squilibri, ma soprattutto che ognuno riceve la giusta compensazione (e non sempre è la metà) per il lavoro svolto, a prescindere che sia uomo o donna.
Consideriamo quest’ultimo esempio: ad un convegno nazionale di infermieristica è abbastanza normale che siano presenti più donne che uomini visto che, statisticamente, ci sono più infermiere che infermieri. La stessa cosa avverrà ad un convegno nazionale di automobilistica dato che, in media, esistono più venditori di auto uomini che donne.
Ammettere che donne e uomini sono diversi è il primo passo per accorciare il gender gap. Perché, invece di continuare a distinguerci tra maschi e femmine, non cominciamo a distinguerci e a promuovere l’equità tra esseri umani? È proprio dal concetto di equità che parte il concetto di inclusione, e che siano l’equità e la meritocrazia a migliorare tutti gli squilibri che ci sono tra gli esseri umani?